Se io dico: “collega la pancia col respiro”, in realtà ti lascio un “gap” che è fatto di parole vuote. Non è detto che tu capisca cosa è il diaframma. Che tu lo riesca a percepire. “Collega la pancia col respiro”… Lascia un punto irrisolto. Un “gap”. E questo “gap” lo riempi te, come puoi. Ti ho detto una frase che richiede alla tua testa di cercare di riempire questo concetto come può, nel modo migliore che sa. Con le conoscenze che tu hai adesso. E questo non va bene, se vogliamo crescere.

Io, come insegnante, devo riuscire a dirti un qualcosa di non fraintendibile. E in che modo? Lasciando il terreno all’immaginazione. Spostando il piano da ciò che so e che capisco (o interpreto), a ciò che sono in grado di immaginare.
Quello che devi percepire è, si, la pancia che si gonfia, si, qualcosa che scende verso il basso. Quindi l’aria – aria, non pancia – l’aria è scesa verso il basso e poi un qualcosa da sotto – quindi la pancia – che, attraverso una specie di “strizzamento” muscolare la rispedisce verso l’alto. Ma prova ad arrivarci usando la tua immaginazione… tipo il soffio della balena, tipo il geyser, tipo il vomito (che è un po’ meno poetico)… Però l’idea è proprio questa, quindi, se te inspiri, l’aria va giù, mi sono riempito e subito dopo arriva la spinta…. viene buttato fuori.
Questo vale per la respirazione.
E la stessa cosa accade quando canto.
Però quando canto c’è un altro aspetto che entra in gioco nell’immaginazione. Tu devi pensare che la posizione interna della bocca, col palato molle alzato e la lingua abbassata sia pre-disposta. Letteralmente.
Quindi, adesso l’immaginazione è fatta di due cose.
Immaginati veramente di predisporre un qualcosa di fisico, di cartapesta, che so… Un qualcosa che è lì. Uno stampo. E dentro questo stampo mandi questi risciacqui di questo geyser.
Quindi inspiri. Scende, predisponi questa struttura aperta e poi lanci. Basta.
Questo è il percorso. Di fatto, se lo vedi così, è molto più semplice di quello che si pensa.
Quindi, inspiri e versi questo liquido prezioso dentro un contenitore che si gonfia. Dopodiché predisponi lo stampo in faccia, in alto e poi lanci tutto su. E questo è il suono. E non puoi sbagliare.
Se ti serve di capire qual è la cartina al tornasole se stai irrigidendo la gola oppure no, prova a mantenere quel concetto dell’aria, quindi della gola aperta e rendi il suono più breve, se vuoi.
Quindi inspiri e lanci. Quando lo faccio io mi rendo conto che tendo ad irrigidire… Ed è solo concentrandomi sulla sensazione di libertà che capirò…
L’aria passa…
Io voglio solo sentire il calore che passa. E arriva fino al palato.
Dopodiché, quando ci metto il suono, devo avere la stessa sensazione.

Attenzione a non focalizzarsi sul puro e semplice esercizio. Perché così facendo finisce che magari si fa bene il singolo esercizio, ma poi non si fanno le stesse cose nell’esecuzione di brani, per esempio… Oppure ti incarti talmente tanto nel micromanaging di una singola nota, quando invece si scioglie di più facendo più cose.
Non facendo più esercizi. Facendo più esercizi ho paura che si finisca sul fare scale sempre più in alto, agilità sempre più complicate, senza che venga mai modificata la qualità del suono. E questo è ciò che non vogliamo fare.
Questo vale anche per la voce parlata. A me capita di parlare moltissimo per lavoro. Oramai ho un tic, i sensori. Io mi accorgo che è molto facile, nel cercare enfasi, nel cercare energia, di mettercela spontaneamente di gola. E’ sbagliato. La gola deve essere solo un tramite e si deve avere questa netta percezione che l’aria di qui passa e basta. Il fatto che metta in vibrazione le corde vocali, non cambia niente dal punto di vista strettamente muscolare, perché tutta la muscolatura che c’è accanto non deve essere coinvolta in termini di “sosteniamo questa cosa con forza”, deve essere, anzi, facilitata nel movimento vibratorio. Peraltro una caratteristica che per noi è molto desiderabile nel nostro genere (il musical) è il vibrato. E il vibrato non avviene se tutto non è libero. Perché è una vibrazione e una vibrazione ha bisogno di scioltezza. Non può avvenire dove ci sono delle contratture.
Questo è importantissimo dal punto di vista della tua gestione della voce. Non soltanto perché ti fai male o non ti fai male, ma perché arricchisci la “cassetta degli attrezzi” a tua disposizione. Quella che ti rende più o meno capace di utilizzare la voce come proprio desideri tu.
Anche la rottura della voce può essere un espediente da utilizzare se si sa come farlo… La voce deve essere divertimento e più competenze ho, più “strumenti” nella mia personale “cassetta degli attrezzi” a mia disposizione, e maggiore il divertimento nell’esplorare toni, colori, caratteristiche.
Non è che la voce sia tutta “liscia”… Ci sono dei momenti in cui è bellissimo usare il soffiato, la voce più gracchiante, la voce che si rompe. Sono cose stilisticamente stupende se le fai intenzionalmente…
Queste sono le cose su cui puoi lavorare. Ma puoi farlo sono quando tutto è libero. Altrimenti sei a fare il famoso puntellature

(mago merlino)

Un esempio. Io mi sono fatta male a ottobre facendo ginnastica ad un tendine. Ancora ad aprile mi fa ancora molto male. Facendoci caso, mi accorgo che quando mi muovo, quando cammino, quando faccio qualsiasi tipo di movimento, questa gamba va in protezione. Quindi non fa quello che dovrebbe fare naturalmente. Se devo fare stretching, mi risulta istintivo, farla lavorare meno, puntare di più sull’altra. Ma questo è inutile. E dannoso. Genera tensioni secondarie.
Il corpo umano è meraviglioso. Compensa. La muscolatura fa dei movimenti compensatori continuamente. Ed ecco perché ci accorgiamo delle cose molto spesso quando è tardi.
Non è che sia tardi nel senso di “troppo tardi”, ma tardi nel senso che si è perso tempo.
Quindi, qui nel collo si mettono in atto movimenti compensatori che ti permettono di andare avanti anche in presenza di tensioni scorrette. Per anni. Anche i grandi cantanti. Non è una cosa solo dei principianti. Affatto. Vale per tutti.
Ecco perché è importantissimo imparare fin da subito a togliere di mezzo queste strategie compensatorie. Perché non sono evolutive. Non sono funzionali.
Ultima cosa: Non possiamo cantare solo nell’accademicità della postura o della struttura. Si deve poter cantare in ogni modo. Primo perché vuol dire che siamo veramente liberi secondo perché ce la godiamo di più… Quando perdo l’idea di paludamento, che devo per forza stare in un certo modo. E terzo, perché, effettivamente, la voce ne beneficia. Se io sono i grado di cantare in qualsiasi posizione, e sono comunque in grado di capire dove mettere la testa, il corpo, l’allineamento…. Esplorare. Fa parte di quel lato più bello del canto, quello che ti porta ad avere voglia di provare ed esplorare, e non che ti fa mettere solo in una forma mentale